Sigilli all'impero di Vito Nicastri, formato da 43 società che operano nel settore dell'energia pulita. L'imprenditore trapanese è accusato di essere stato vicino all'ultimo grande latitante della mafia siciliana
di SALVO PALAZZOLOQualche anno fa, il Finacial Times lo definì il "signore del vento". Vito Nicastri, il re degli impianti eolici da Roma in giù, si vantava di essere un self made man, e soprattutto un imprenditore che avrebbe ridato speranza al Mezzogiorno d'Italia attraverso l'energia pulita. In realtà, dicono le indagini della Direzione investigativa antimafia, Nicastri sarebbe stato solo uno spregiudicato manager al servizio dell'ultimo grande latitante di Cosa nostra siciliana, Matteo Messina Denaro. Così, il tribunale misure di prevenzione di Trapani ha disposto una confisca senza precedenti per il signore del vento: ammonta a un miliardo e 300 milioni di euro, tanto valgono le 43 società di capitali che Nicastri utilizzava per gestire i suoi affari nel settore dell'eolico e del fotovoltaico. E' stata una proposta della Dia, diretta da Arturo De Felice, a far scattare il provvedimento, firmato la settimana scorsa dal collegio presieduto da Piero Grillo.
Nicastri era quello che in gergo si chiama lo "sviluppatore": realizzava e vendeva, chiavi in mano, parchi eolici, con ricavi milionari. Da Trapani a Messina, da Enna a Catania, il cinquantaseienne imprenditore originario di Alcamo (Trapani) non aveva rivali nel campo dell'energia pulita. E oggi si scopre perché. Le indagini del centro operativo Dia di Palermo, coordinato dal colonnello Giuseppe D'Agata, svelano che Nicastri avrebbe potuto contare sulla protezione di Cosa nostra. Gli investigatori parlano di "contiguità", che si sarebbe tradotta in:
Uno di questi tasselli è in un pizzino ritrovato nel covo di Giardinello (Palermo) dove vennero arrestati dalla polizia Salvatore e Sandro Lo Piccolo, il 5 novembre 2007: "Nicastro di Alcamo - era scritto - continuare con Scinardo. Escludere i fratelli Severino. Ok". Il messinese Mario Giuseppe Scinardo è un altro imprenditore col pallino dell'eolico, anche lui avrebbe intrattenuto rapporti equivoci con esponenti della criminalità organizzata. I fratelli Severino citati nel pizzino sono invece imprenditori della provincia di Catania, che evidentemente i boss dovevano tenere fuori da un affare per la realizzazione dell'ennesimo parco eolico. In quelle poche righe scritte dai Lo Piccolo c'è l'essenza dei rapporti fra boss e imprenditori, per orientare il mercato.
Proprio per questi rapporti, il tribunale di Trapani ha inflitto a Nicastri anche la sorveglianza speciale per tre anni: l'imprenditore avrà l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
L'INDAGINE"Con questo provvedimento continuiamo a fare terra bruciata attorno agli esponenti di spicco della criminalità organizzata - dice il direttore della Dia, Arturo De Felice - aggredendo i patrimoni, tarpiamo le ali ai grandi latitanti. Non è un lavoro facile, ma la Dia lo fa con tanta professionalità: oggi abbiamo la soddisfazione di aver restituito allo Stato e alla collettività un patrimonio senza precedenti".
I sigilli sono scattati non solo per 43 tra società e partecipazioni legate al settore della produzione alternativa dell’energia elettrica (le aziende sono fra la Sicilia, il Lazio e la Calabria), ma anche per 98 beni immobili fra ville e palazzine, terreni e magazzini, per 7 fra autovetture, motocicli e imbarcazioni. Nella confisca ci sono pure 66 "disponibilità finanziarie" fra conti correnti, depositi titoli e fondi di investimento.
"Parliamo di aziende produttive, che adesso passano allo Stato - prosegue De Felice - in questo particolare contesto economico che viviamo non è cosa da poco. Noi continuiamo a cercare i grandi patrimoni delle mafie, per individuare gli altri insospettabili prestanome dei padrini e così mettere all'angolo Matteo Messina Denaro. Oggi sarebbe stato contento il capo della polizia Antonio Manganelli, che ci ha lasciato qualche giorno fa, lui che per tutta la vita ha lottato per fronteggiare la mafia".
Interamente tratto da repubblica.it del 3 aprile 2013
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