Paolo Borrometi ha presentato il
suo libro “un morto ogni tanto” e l’Amministrazione annuncia per lui la
cittadinanza onoraria
Di Emanuel Butticè
Di Emanuel Butticè
ALCAMO. Un libro con un titolo particolare, “un morto ogni tanto”. “Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! Per dare una calmata a
tutti”. È una frase intercettata dagli inquirenti che indagano
sulla mafia di Pachino. A Pronunciarla un boss mentre spiega ai figli il piano
di morte organizzato per eliminare un soggetto “scomodo”, “fastidioso”. Quel
soggetto da eliminare ad ogni costo era Paolo Borroneti, giornalista che ha
illuminato a giorno la sua terra, la provincia babba della
mafia invisibile, nascosta alla luce del sole. Una mafia che Borrometi racconta
quotidianamente, con inchieste puntuali e dettagliate, con nomi e cognomi. È
proprio questo che lo espone, il suo lavoro meticoloso. Con gli articoli e
adesso con questo libro di inchiesta fa una radiografia all’organizzazione
mafiosa della provincia di Ragusa. Una mafia per anni negata, secondo molti non
esisteva.
Ieri ad Alcamo ha presentato il
suo libro, “Un morto ogni tanto” (Solferino Editore), al Centro Congressi
Marconi. Tra i relatori il Sindaco di Alcamo Domenico Surdi, la Vice Presidente
del Consiglio Comunale Giovanna Melodia, l’Europarlamentare Ignazio Corrao e
Alessandro Cacciato come moderatore. Un incontro organizzato
dall’Amministrazione del Movimento 5 Stelle alcamese. Durante l’incontro le letture
di alcuni brani del libro sono state curate da Chiara Calandrino della
Cooperativa Piccolo Teatro e da Cristian Pirrone del Centro Neapolis.
Durante l’incontro la Consigliera
Giovanna Melodia ha annunciato una mozione di indirizzo condivisa da tutto il consiglio comunale
avente ad oggetto il conferimento della cittadinanza onoraria al giornalista
Paolo Borrometi. Una notizia accolta con un lungo applauso
dai cittadini presenti. “Questa sorpresa mi emoziona molto. Sono davvero
onorato di poter essere un vostro concittadino. Grazie a tutta
l’Amministrazione e al Consiglio Comunale” – ha affermato commosso.
Borrometi, rispondendo alle
domande del moderatore Alessandro Cacciato, ha iniziato il dibattito ricordando
la figura di Giovanni Spampinato, giornalista ucciso a soli 27 anni a Ragusa
nel 1972. Una vittima per anni dimenticata. Il suo omicidio, come in altri
casi, ha subìto il mascariamento, il silenzio. “Questione di fimmini”, un
modo per archiviare la vicenda e dimenticarlo per sempre. Oggi Spampinato, come
ha ricordato Paolo Borrometi, rappresenta un esempio di giornalismo di
inchiesta vero, serio e concreto. “Lui era un giornalista libero che
faceva nomi e cognomi. La stampa in Italia è sotto attacco da oltre vent’anni,
ma non è tutta uguale. Chiaramente non bisogna generalizzare, né in positivo né
in negativo. Spampinato raccontava la provincia di Ragusa, la provincia con il
più alto numero di sportelli bancari, superiore addirittura a Palermo e Milano. Ha osato fare nomi
pesanti e per questo ha pagato con la vita. Così come Peppino Impastato. Se io
oggi faccio il giornalista è grazie ai suoi insegnamenti. Per questo vi chiedo di
“adottare” simbolicamente lui e la sua storia, combatteva per il futuro della
sua terra, la nostra terra, dannata, ma meravigliosa.” Borrometi ha inoltre
ricordato il giornalista italiano Antonio Megalizzi, rimasto ucciso
nell'attentato di Strasburgo lo scorso 11 dicembre.
“Dobbiamo imparare anche a
cambiare la narrazione delle mafie, cambiare anche termini. Uomini
d’onore? Che onore può avere qualcuno che scioglie un bambino
nell’acido?”- ha aggiunto rispondendo alle domande del moderatore. Borrometi
ha ricordato anche quando in una scuola una madre si lamentava dell’incontro
tra il giornalista e i ragazzi perché lo riteneva un “soggetto pericoloso” da
non far entrare a scuola. “Sono i boss mafiosi ad essere pericolosi, così come
i politici che con loro fanno affari. Io sono solo un cittadino che fa il
proprio dovere. È importante fare i nomi e i cognomi perché sono soggetti che
fanno affari sulle nostre spalle e sulle nostre vite”.
Prima di raggiungere il Centro
Congressi Marconi, accompagnato dai componenti dell’amministrazione, ha fatto
visita alla casa di Babbo Natale, un luogo per i più piccoli realizzato in un
immobile confiscato all’imprenditore “re del vento” Vito Nicastri. “Vedere che
tanti bambini oggi giocano in quel bene è fantastico. È il modo più bello per
ricordare Pio La Torre e la legge Rognoni-La Torre sul sequestro dei beni alle
mafie. In quell’immobile lo Stato ha vinto e merita di essere visitato perché
rappresenta il simbolo di riscatto di un territorio.”
“Non sono i lividi e i segni indelebili sul
mio corpo che porterò con me per sempre che fanno più male, – ha sottolineato
Borrometi raccontando della brutale aggressione subita alcuni anni fa – ma l’indifferenza, l’isolamento e la
delegittimazione. Ricordo che all’indomani dell’aggressione, che mi è costata
una menomazione alla spalla destra, sembrava come se la responsabilità fosse
mia e non del carnefice.”
“Nonostante tutto non ho mai
smesso di raccontare. Il giornalista ha un dovere fondamentale: raccontare i
fatti. Perché un Paese può cambiare solo se è informato. Il cambiamento – ha
sottolineato - quindi passa attraverso la cultura e l’informazione. Io ho fatto
solo il mio dovere.”
“È inaccettabile – ha aggiunto -
che in Sicilia un ex Presidente della Regione condannato per reati di mafia sia
stato invitato a parlare nella sala intitolata a Piersanti Mattarella,
Presidente ella Regione ucciso dalla mafia, all’Ars. È accaduto, ed è
incredibile.”
Infine ha rievocato quel 10
aprile 2018, il giorno in cui apprese del piano di morte nei suoi confronti.
Quel giorno Paolo era atteso al Festival Internazionale di Giornalismo di
Perugia, e si apprese la notizia in diretta. Per lui la mafia aveva pronta
un’auto bomba che doveva essere piazzata fuori da una scuola al termine di un
incontro con gli studenti. I mafiosi, intercettati, dicevano di voler fare “una
mattanza”. “Non viene minacciato solo il giornalista, ma la minaccia è contro
la libertà di informazione, cioè contro chi legge, i lettori. Noi non abbiamo
bisogno di eroi, ma soltanto di buoni cittadini. La nostra è una terra
meravigliosa e una minoranza rumorosa non può infangarla. Ognuno di noi deve
essere l’esempio di se stesso. Perché in fondo non è tutto perso, abbiamo
bisogno di costruire insieme e fare squadra per non lasciare questa terra
nelle loro mani.”
Paolo Borrometi inoltre ha
ringraziato le forze dell’ordine presenti per il loro prezioso lavoro
quotidiano e i ragazzi della scorta che rischiano la propria vita ogni giorno
per proteggerlo. “La vita sotto scorta è un inferno. Mi sento un recluso, ma
sono libero. Mi guardo allo specchio e vedo una persona pulita. La vera libertà
è quella di pensiero. Ricordatevi che il nostro Paese non ha bisogno di eroi, ma di cittadini che facciano il loro dovere. La legalità è un percorso di costante impegno.”