A Trapani, crocevia di molti affari
occulti e non, il paradosso è servito! Si può parlare male della mafia ma non
di un mafioso. Può sembrare paradossale ma c’è un processo in corso che
sintetizza quanto di più paradossale possa esistere: un cronista a processo per
aver “offeso un mafioso”.
La storia che si ripete e che colpisce
sempre chi scrive. Chi racconta. È già successo. Ma che i familiari di un boss
mafioso querelino un giornalista è un fatto unico in Italia.
Il boss mafioso è Mariano Agate di Mazara del Vallo, il
giornalista è Rino Giacalone. Uno, il primo, è stato condannato all’ergastolo
per 7 omicidi, tra cui quello del giudice Giangiacomo
Ciaccio Montalto. L’altro è un giornalista trapanese in prima linea
contro la mafia, che da più di trent’anni racconta fatti e misfatti della città
del sale, dove s’incontrano poteri occulti, massoni, mafiosi e servizi deviati.
Uno,
il primo, nel 1986 risultò nell'elenco degli
iscritti alla loggia massonica segreta Iside 2 di Trapani, l’altro, il secondo, risulta iscritto
a “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” da parecchi anni. Bella differenza!
Uno, il primo, è morto nel 2013,
l’altro, il secondo, ha raccontato sul blog “Malitalia” della sua morte,
ricostruendo la sua storia criminale. In fondo al pezzo, una riga finale in cui
il cronista si riallaccia alla storica frase di Peppino Impastato “la mafia è
una montagna di merda”. Poche parole, che non sono piaciute ai familiari del
boss Agate che hanno così denunciato il giornalista e chiesto 50 mila euro per
i danni, soldi che andranno comunque in beneficenza. Un processo unico nel suo
genere. Una sentenza che a prescindere dall'esito sarà unica e, oltre a fare
giurisprudenza, farà storia nel “mondo” dell’antimafia. Un’antimafia che
comunque non molla, nonostante i continui attacchi ricevuti da più parti. Lo
stesso Giacalone oggi è un giornalista molto esposto. Non è ben visto da
mafiosi, politici e addirittura da molti colleghi (e questo forse spaventa di
più!) che recentemente hanno avviato una vera e propria “macchina del fango”
nei suo confronti.
Ma Giacalone sa di non essere solo. Il
suo senso di isolamento, legittimo, viene da una consapevolezza: un giornalista
scomodo, senza condizionamenti, senza “censure” è un giornalista “fastidioso”,
“da zittire” con il metodo più raffinato e antico: la macchina del fango,
l’isolamento. “Macchina” che in provincia di Trapani viene avviata da più parti
e aggiungerei anche in modo impeccabile. Ma, come dicevo, Giacalone sa bene di
non essere solo. Lo si legge negli occhi dei ragazzi di Libera Jesi che sono
venuti fino a Trapani per schierarsi al suo fianco, lo si legge negli occhi dei
tanti giovani giornalisti che in Rino vedono una guida, una luce nel buio mondo
dell’informazione. Lo si legge. E basta. Rino non è solo e non lo sarà mai.
In conclusione, riprendendo le parole
di un socio di Libera “oggi siamo tutti sul banco degli imputati!” credo che
non solo siamo tutti imputati con Rino, ma siamo tutti colpevoli di aver
pensato almeno una volta quella frase rivolta ad un mafioso. Per questo siamo
tutti obbligati a schierarci dalla parte giusta: quella di Rino!