sabato, aprile 28, 2012

I cittadini, un fastidioso dettaglio


La libertà di scelta è diventata una minaccia per la stabilità. Le alternative al rigore sono escluse e la democrazia deve solo legittimare le decisioni della finanza.



di Stephan Kaufmann (www.presseurop.eu)


La crisi dell’euro è in standby. Le migliaia di miliardi di euro in credito concesse dalla Banca centrale hanno calmato le acque. Tuttavia sui mercati finanziari avanza una nuova minaccia: la democrazia. “Le elezioni francesi [il secondo turno delle presidenziali del 6 maggio sarà seguito dalle elezioni legislative di giugno] e greche [6 maggio], insieme al referendum irlandese [il 31 maggio] alimentano le inquietudini degli investitori, delle imprese e dei consumatori”, spiega Elga Bartsch, della banca d’investimenti americana Morgan Stanley.
I paesi europei impongono ai loro cittadini sacrifici dolorosi. Per guadagnare la fiducia dei mercati tagliano centinaia di migliaia di posti di lavoro, aumentano le tasse, riducono la spesa pubblica e intaccano le pensioni. Per rilanciare la competitività internazionale abbassano i salari, allentano i meccanismi di protezione dal licenziamento e indeboliscono i sindacati. Nel frattempo l’occupazione crolla. In paesi come Grecia e Spagna metà dei giovani attivi non ha un lavoro.
“In questo momento il rischio maggiore per l’Europa non è tanto un aumento dei tassi sul debito – spiega Patrick Artus, economista della banca francese Natixis – quanto una crisi politica e sociale in un contesto di aumento incontrollabile della disoccupazione”.
A intervalli regolari, secondo le regole della democrazia, le vittime della crisi possono recarsi alle urne per esprimere il loro parere sui provvedimenti adottati, e rifiutarli se non li condividono. Questo potere genera l’inquietudine dei mercati. È per questo motivo che negli ultimi mesi la classe politica ha fatto di tutto per neutralizzare il libero arbitrio degli elettori. 
In Grecia l’idea di un referendum sull’austerity è stata abbandonata a novembre, quando i leader politici tedeschi e francesi hanno apertamente minacciato Atene di cacciare la Grecia dall’eurozona se la popolazione avesse votato per l’abbandono dei provvedimenti di rigore. In Grecia e Italia la crisi ha fatto cadere capi di governo eletti, sostituiti da “tecnocrati” che non sono stati votati dal popolo e non dipendono dalla volontà degli elettori.
“La politica in tempi di crisi somiglia a un colpo di stato permanente”, denuncia  Joseph Vogel, professore di letteratura. Sempre più spesso sono i negoziati informali tra i banchieri centrali a orientare la politica. Oggi il potere decisionale è nelle mani dei “soviet della finanza”, si rammarica Vogel.
Naturalmente il popolo è ancora chiamato a votare. Per esempio in Irlanda, dove a fine maggio si voterà l’adesione al trattato fiscale. Tuttavia il margine di manovra degli irlandesi è stretto: il paese dipende dagli aiuti del fondo di salvataggio europeo, che non saranno versati se Dublino non aderirà al patto di bilancio.
All’inizio di maggio i greci eleggeranno un nuovo parlamento. Ma per mettere il piano di rigore al riparo dal libero arbitrio degli elettori, i probabili vincitori dello scrutinio – il Pasok [socialisti] e Nuova democrazia [destra] sono già stati costretti a impegnarsi a proseguire sulla via delle riforme. Resta il problema dell’avanza dei piccoli partiti di opposizione che genera incertezza tra gli investitori, spaventati dalle tensioni politiche.
Infine ci sono le elezioni presidenziali francesi. Il socialista François Hollande è in testa davanti a Nicolas Sarkozy, presidente uscente. Hollande vuole aumentare le tasse per i ricchi, mettere un freno alla politica d’austerity e rinegoziare il patto di bilancio. Reazione dei mercati: ad aprile la Francia ha subìto un nuovo rialzo dei tassi in occasione di un’aggiudicazione obbligatoria.
Da parte sua Sarkozy spinge la Francia sulla via delle riforme. Il che implica naturalmente sacrifici per la popolazione. Senza riforme, però, la Francia rischia di “fare la fine della Grecia o della Spagna”, avverte Sarkozy. Insomma non c’è alternativa. I francesi possono andare a votare, ma non possono scegliere.

Libertà di ratifica

“Dire alla popolazione che non ha scelta equivale a proibirgli di esprimersi e pensare", denuncia Ulrich Thielemann, specialista tedesco di etica degli affari. “Se non possiamo evocare le alternative possibili, è la fine della democrazia”. Tecnicamente continueremo ad andare a votare, “ma la gente non avrà più il diritto di scegliere, potranno soltanto manifestare il loro sostegno a una politica irrevocabile, e la democrazia servirà soltanto a ratificare”.
Oggi l’elettorato viene privato del suo potere dai mercati, che concedono o rifiutano il credito. “È la fine della sovranità” mette in guardia Thielemann. Ai suoi occhi la politica è assoggettata alla legge dei mercati come se si trattasse di un fenomeno naturale. “Avrebbe anche potuto semplicemente accaparrarsi con le tasse i capitali di cui oggi ha bisogno”. 
Secondo Thielemann la libertà dei mercati si oppone alla libertà della democrazia. “Quando lo stato ha come unico obiettivo quello di aumentare la competitività, ci proibisce di porci la domanda fondamentale della democrazia: come vogliamo vivere?”

Nessun commento: