di Vitalba Labita
In quest’ultimo periodo
i media continuano a parlare della riforma del lavoro, purtroppo però le
notizie sono spesso vaghe. Con questo articolo ci proponiamo quindi di chiarirne
i punti fondamentali. Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 23 marzo
2012 le linee guida della imminente riforma del lavoro, presentando poi il DdL
al Parlamento per l’inizio dell'iter legislativo. Per cogliere la portata della
riforma del Governo Monti, possiamo snodarla sulle seguenti direttrici:
a)
Riordino delle tipologie contrattuali;
b)
Maggior flessibilità in uscita;
c)
La riforma degli ammortizzatori sociali;
d) Contrasto delle
dimissioni in bianco.
Per quanto riguarda il
primo punto, delle novità sono state introdotte sui contratti a tempo determinato, sui quali è previsto un incremento
contributivo dell’1.4 %. Viene però introdotto un “Premio di stabilizzazione”,
infatti, l’azienda che paga più contributi durante il lavoro a termine, viene
premiata se trasforma il contratto a tempo indeterminato, recuperando il
maggior aggravio contributivo avuto durante il contratto a termine.
Per i contratti di inserimento, nella
relazione presentata, sono previste della agevolazioni solo per gli
ultracinquantenni.
Il Governo torna sul contratto di apprendistato, in
particolare, viene previsto che tale tipologia contrattuale avrà un duplice
obiettivo: “Favorire l’incremento
dell’occupazione giovanile e promuovere lo sviluppo del settore e la capacità
competitiva nei mercati internazionali”. Per essere considerato il
principale contratto per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, le
modifiche apportate sono insignificanti e non colgono i veri problemi del
contratto. Non a caso questo contratto non ha dato impulso negli anni passati
all’occupazione dei giovani, quindi non si comprende come l’attuale impianto
senza sostanziali modifiche possa migliorare la situazione per il futuro.
Sui contratti a tempo parziale, intermittente
ed accessorio gli interventi sono comuni e consistono nell’eliminare
possibili abusi, infatti, il Governo intenderebbe introdurre nuovi obblighi
amministrativi a carico dei datori di lavoro.
Per quanto riguarda i contratti a progetto è previsto un
aumento della contribuzione, inoltre, in caso di mancanza del progetto, il
contratto si trasforma in lavoro subordinato senza la possibilità, per il
datore di lavoro, di provare che si trattava di un rapporto di natura autonoma.
Il Parlamento è intervenuto a tal proposito ed ha stabilito che, in merito alla
reale natura del contratto di lavoro, la presunzione è relativa e non assoluta,
cioè il datore di lavoro ha la possibilità di dimostrare l’effettiva natura del
contratto.
Uno dei passaggi di
maggiore criticità della riforma è rappresentato dalla modifica dell’Art.18
dello Statuto dei lavoratori in materia di licenziamento
che potrà essere oggetto nel corso dell’approvazione parlamentare di modifiche
e revisioni. Nulla cambia per i licenziamenti
discriminatori (razza, sesso, ecc…), a cui continuerà ad applicarsi
l’art.18 Statuto dei Lavoratori a prescindere dalle dimensioni dell’azienda.
Per i licenziamenti per motivi disciplinari,
per fatti risultati inesistenti ovvero riconducibili a condotte punibili con
sanzioni minori, il giudice applica la tutela reale (reintegrazione nel posto
di lavoro).
Per i licenziamenti per motivi economici,
inizialmente, in caso d’inesistenza del giustificato motivo, era previsto che
scattasse solo un’indennità risarcitoria onnicomprensiva da 15 a 27 mensilità. In
seguito all’analisi del Parlamento, sul testo della riforma pubblicato dal
Governo, è stata introdotta una novità; è stata reintrodotta la possibilità
della reintegra nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuti
insussistenti dal giudice. Rimane la possibilità per il dipendente di chiedere
alternativamente alla reintegra un indennizzo pari a 15 mensilità. Personalmente,
ritengo che fosse doveroso introdurre la possibilità di reintegro. Infatti, se
prendiamo come esempio un lavoratore che è obbligato a lavorare almeno altri 4
anni per ottenere la pensione (dopo l’ultima riforma), qualora fosse stato
licenziato per motivi economici, nascondendo invece il vero motivo del
licenziamento (anziano e quindi poco produttivo rispetto ad un giovane), si
sarebbe ritrovato senza pensione e senza impiego, poiché a 60 anni nessuno lo
avrebbe più assunto.
La Riforma del Lavoro
introduce una nuova forma di tutela integrativa del reddito, estesa anche agli
apprendisti, definita Assicurazione
sociale per l’impiego (ASPI), che andrà a sostituire: l’Indennità di
mobilità; l’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria; l’indennità di
disoccupazione con requisiti ridotti; l’indennità di disoccupazione speciale
edile. L’importo è determinato secondo un sistema di scaglioni applicati alla
retribuzione di riferimento e potrebbe raggiungere i 1.119 euro (tetto massimo). Non sembra che la riforma si basi su un
vero e proprio sistema innovativo di ammortizzatori sociali. Se da un lato vi è
un risparmio notevole per le casse dello Stato che verranno in parte sgravate
degli oneri della cassa integrazione, dall'altro vi sarà un incremento del
costo del lavoro per le aziende a cui il progetto di riforma degli
ammortizzatori sembra devolvere interamente il peso economico dei nuovi
strumenti.
Infine, sulla questione
delle dimissioni in bianco, la
volontà risolutoria deve essere espressa attraverso modalità volte ad accertare
l’autentica genuinità della manifestazione di volontà.
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