domenica, aprile 22, 2012

Alla scoperta della riforma del lavoro.


di Vitalba Labita

In quest’ultimo periodo i media continuano a parlare della riforma del lavoro, purtroppo però le notizie sono spesso vaghe. Con questo articolo ci proponiamo quindi di chiarirne i punti fondamentali. Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 23 marzo 2012 le linee guida della imminente riforma del lavoro, presentando poi il DdL al Parlamento per l’inizio dell'iter legislativo. Per cogliere la portata della riforma del Governo Monti, possiamo snodarla sulle seguenti direttrici:
a) Riordino delle tipologie contrattuali;
b) Maggior flessibilità in uscita;
c) La riforma degli ammortizzatori sociali;
d) Contrasto delle dimissioni in bianco.
Per quanto riguarda il primo punto, delle novità sono state introdotte sui contratti a tempo determinato, sui quali è previsto un incremento contributivo dell’1.4 %. Viene però introdotto un “Premio di stabilizzazione”, infatti, l’azienda che paga più contributi durante il lavoro a termine, viene premiata se trasforma il contratto a tempo indeterminato, recuperando il maggior aggravio contributivo avuto durante il contratto a termine.
Per i contratti di inserimento, nella relazione presentata, sono previste della agevolazioni solo per gli ultracinquantenni.
Il Governo torna sul contratto di apprendistato, in particolare, viene previsto che tale tipologia contrattuale avrà un duplice obiettivo: “Favorire l’incremento dell’occupazione giovanile e promuovere lo sviluppo del settore e la capacità competitiva nei mercati internazionali”. Per essere considerato il principale contratto per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, le modifiche apportate sono insignificanti e non colgono i veri problemi del contratto. Non a caso questo contratto non ha dato impulso negli anni passati all’occupazione dei giovani, quindi non si comprende come l’attuale impianto senza sostanziali modifiche possa migliorare la situazione per il futuro.
Sui contratti a tempo parziale, intermittente ed accessorio gli interventi sono comuni e consistono nell’eliminare possibili abusi, infatti, il Governo intenderebbe introdurre nuovi obblighi amministrativi a carico dei datori di lavoro.
Per quanto riguarda i contratti a progetto è previsto un aumento della contribuzione, inoltre, in caso di mancanza del progetto, il contratto si trasforma in lavoro subordinato senza la possibilità, per il datore di lavoro, di provare che si trattava di un rapporto di natura autonoma. Il Parlamento è intervenuto a tal proposito ed ha stabilito che, in merito alla reale natura del contratto di lavoro, la presunzione è relativa e non assoluta, cioè il datore di lavoro ha la possibilità di dimostrare l’effettiva natura del contratto.
Uno dei passaggi di maggiore criticità della riforma è rappresentato dalla modifica dell’Art.18 dello Statuto dei lavoratori in materia di licenziamento che potrà essere oggetto nel corso dell’approvazione parlamentare di modifiche e revisioni. Nulla cambia per i licenziamenti discriminatori (razza, sesso, ecc…), a cui continuerà ad applicarsi l’art.18 Statuto dei Lavoratori a prescindere dalle dimensioni dell’azienda.
Per i licenziamenti per motivi disciplinari, per fatti risultati inesistenti ovvero riconducibili a condotte punibili con sanzioni minori, il giudice applica la tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro).
Per i licenziamenti per motivi economici, inizialmente, in caso d’inesistenza del giustificato motivo, era previsto che scattasse solo un’indennità risarcitoria onnicomprensiva da 15 a 27 mensilità. In seguito all’analisi del Parlamento, sul testo della riforma pubblicato dal Governo, è stata introdotta una novità; è stata reintrodotta la possibilità della reintegra nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuti insussistenti dal giudice. Rimane la possibilità per il dipendente di chiedere alternativamente alla reintegra un indennizzo pari a 15 mensilità. Personalmente, ritengo che fosse doveroso introdurre la possibilità di reintegro. Infatti, se prendiamo come esempio un lavoratore che è obbligato a lavorare almeno altri 4 anni per ottenere la pensione (dopo l’ultima riforma), qualora fosse stato licenziato per motivi economici, nascondendo invece il vero motivo del licenziamento (anziano e quindi poco produttivo rispetto ad un giovane), si sarebbe ritrovato senza pensione e senza impiego, poiché a 60 anni nessuno lo avrebbe più assunto.
La Riforma del Lavoro introduce una nuova forma di tutela integrativa del reddito, estesa anche agli apprendisti, definita Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), che andrà a sostituire: l’Indennità di mobilità; l’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria; l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti; l’indennità di disoccupazione speciale edile. L’importo è determinato secondo un sistema di scaglioni applicati alla retribuzione di riferimento e potrebbe raggiungere i 1.119 euro (tetto massimo). Non sembra che la riforma si basi su un vero e proprio sistema innovativo di ammortizzatori sociali. Se da un lato vi è un risparmio notevole per le casse dello Stato che verranno in parte sgravate degli oneri della cassa integrazione, dall'altro vi sarà un incremento del costo del lavoro per le aziende a cui il progetto di riforma degli ammortizzatori sembra devolvere interamente il peso economico dei nuovi strumenti.
Infine, sulla questione delle dimissioni in bianco, la volontà risolutoria deve essere espressa attraverso modalità volte ad accertare l’autentica genuinità della manifestazione di volontà.

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