martedì, giugno 21, 2011
Relazione del Coordinatore regionale di Libera
Radicali per radicarci
Relazione del coordinatore regionale Umberto Di Maggio alla seconda assemblea di Libera - associazioni nomi e numeri contro le mafie - Sicilia - Enna 19 Giugno 2011
Sapete tutti della nostra avversione, nient'affatto snob, ai ringraziamenti ed ai convenevoli. Non ringraziamoci se stiamo facendo il nostro dovere, non rincorriamo l'applauso od il cenno di compiacimento se stiamo, da semplici cittadini dando speranza con il nostro impegno ai nostri figli.
Un ringraziamento però è doveroso farlo. A Margherita Asta e Dario Montana prima di tutto. Ce lo siamo detti spesso e dobbiamo ripetercelo fino allo sfinimento. Non c'è percorso di “Libera”, con c'è battaglia o petizione che non debba tenere conto del sacrificio di chi ha versato il proprio sangue per un'Italia più democratica e civile. Uomini e donne che hanno deciso di trasformare il proprio dolore in spirito propulsore che produce il cambiamento sono il nostro più puro punto di riferimento. Per chi come me non ha patito direttamente la tragedia di vedersi strappare papà, mamme, fratelli, sorelle, mogli, mariti, figli e figlie, Dario e Margherita, insieme ai tanti familiari che la nostra rete tenta di coinvolgere, sono l'autentica traduzione della memoria che si fa impegno. Per questo e per altri motivi dobbiamo dire a loro, facendo uno strappo alla regola, il nostro più caloroso “grazie” per ciò che hanno fin qui fatto da referenti territoriali della nostra associazione e per quello che ancora faranno, insieme ai tanti familiari, “con” e non per “Libera”.
Per loro e con loro dobbiamo riscoprire piuttosto il valore della militanza intesa nella sua accezione più romantica. Riscopriamo e trasmettiamo più che possiamo il gusto di essere partigiani e quindi di parte. Dalla parte giusta, da quella che vuole dare un nuovo senso a questo nostro presente. Ce lo avete insegnato proprio voi in questi anni di “Libera” che la militanza è stare nelle piazze, è scovare gli indifferenti che campeggiano nei bar bravi solo a perpetuare il triste messaggio di una terra che non cambia. La militanza è sporcarsi le mani perchè come diceva Don Milani “è superfluo averle pulite se si tengono in tasca”.
Un anno fa ci siamo lasciati con una carta che abbiamo insieme chiamato “Mosaici di Responsabilità” attraverso la quale ci siamo detti quello che siamo, e quello che volevamo diventare. L'abbiamo chiamata “Mosaici” perché convinti che nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri. L'abbiamo chiamato di “responsabilità” perché intorno a questa parola, che non è solo una parola, abbiamo sudato e ci siamo spesi per una reale azione democratica di attivazione dal basso.
Abbiamo vissuto, tutti insieme, quest'anno che è appena trascorso con “radicalità” se per essa intendiamo la voglia matta e disperata di mettere radici, di stare con i piedi per terra per poter crescere in altezza. Abbiamo fatto riferimento alla terra come il nostro più autentico punto di riferimento. Abbiamo guardato, vissuto e patito le tante anime di questa nostra bella Sicilia, isola plurale di cui ogni zolla è stata offesa. Con i nostri mille impegni, che non ci sono bastati. Con le nostre tante battaglie, condotte senza armi da fuoco ma con la ragione ed il sapere.
Lo stesso “sapere” che per questa nostra società consumistica ha poco valore in confronto all'avere. Lo stesso sapere che è metodicamente calpestato da questa o da quella politica di stupro. Ce lo siamo detti spesso, noi siamo per la società della conoscenza e contro le società delle conoscenze e quindi dei privilegi e degli affari privatistici.
Noi che abbiamo assunto consapevolezza, come mi ha insegnato un caro amico del Nord cresciuto nella terra di Bobbio, che la scuola è la cerniera tra il “già” ed il “non ancora”. Noi che sogniamo il giorno in cui provocatoriamente le scuole diventino meta turistica, perché luoghi di cittadinanza, di civiltà.
Noi che, per questo motivo, ci siamo spesi su tutto il territorio regionale seguendo numerosissimi progetti didattici di educazione alla legalità. Incontrando allievi, insegnanti e genitori, permettendo loro di mettere i piedi in strutture confiscate di Libera Terra, da Belpasso a Corleone, da Lentini a Castelvetrano. Nella terra dei boss che adesso è “cosa nostra”. Le stesse strutture che vorremmo che fossero meno “di” Libera Terra e più “su” Libera Terra.
Accingendoci a selezionare i nuovi soci della cooperativa di Agrigento e firmando il protocollo per il lancio del bando pubblico a Trapani stiamo, ponendo l'accendo tra le proposizioni “di” e “su” tentando di fare l'ennesima rivoluzione culturale. Ci sono due mondi che si fronteggiano. L'essere e l'avere, lo spirito di servizio contro il possesso tout-court.
Noi stiamo dalla parte di chi ama la terra e pretende, faticando ogni giorno, la normalità.
Grazie, quindi, a chi oggi ha scelto da che parte stare. A chi ci mette ogni giorno la faccia, con tutti i rischi del caso. A chi corre e suda per lasciarsi dietro un passato ingiurioso e di ignominia. A chi, ad esempio, ha faticato per la Carovana Antimafie che anche quest'anno, con le difficoltà e le incomprensioni di sempre, ha portato in giro per la nostra regione, come la Marcia per un Mondo Nuovo in ricordo di Danilo Dolci, i messaggi di pace e del lavoro contro le mafie e la corruzione.
Vorremmo che questo fare strada fosse da tutti, proprio da tutti, interpretato nel senso più profondo. Vorremmo che si pensasse a questa, come a tanti altri momenti, come un'occasione per incontrare la gente senza chiasso e clamori, in profondità. Come un ipotetico trattore con il suo aratro che facendo il suo percorso di campagna, tortuoso e pieno di asperità, volta il terreno che va percorrendo, girando pagina, in attesa del tempo della semina. Noi siamo quest'aratro. Che prepara la terra, che qualcun altro seminerà, e dal quale lavoro qualcun altro ancora raccoglierà i frutti.
La Sicilia è terra di confine, non di frontiera. In un confine le culture si parlano, le genti si incontrano. In una frontiera invece ci sono barriere, staccionate, reti spinate. In un confine il “diverso” non esiste. In una frontiera non si accoglie, si fa transitare e basta. In un confine i tratti indefiniti di una linea geografica si disintegrano davanti alla forza dell'umanità.
Riscopriamo il valore di questa umanità. Raccogliamo il magistrale esempio delle tante associazioni che a Lampedusa hanno accolto i nostri fratelli africani che scappavano da guerre e dittature. Quelle realtà che hanno interpretato in concetto della “strada” a noi tanto caro. Che non si sono arroccate in trincea e che applicando alla lettera la dichiarazione universale dei diritti umani hanno realmente svolto un'azione antimafia.
La nuova sfida per tutti noi è di “presidiare” i nostri territori non chiudendoci, quindi, in uno sterile assedio. Siamo fontana per tutti.
Abbiamo sposato appieno la parola “presidio” perché ci richiama l'obbligo “partigiano” di riappropriaci di ciò che per troppo tempo ci è stato strappato via. La nostra terra e la nostra dignità prima di tutto. Chi presidia fa una scelta, si schiera, e condivide questa scelta. Costi quel che costi. Contro il sistema egemonico mafioso, come diceva Gramsci, che caratterizza il nostro contesto. Tanti presidi sono nati quest'anno e tanti altri dovranno nascere. Ma non lo abbiamo sbandierato ai quattro venti. E' nella nostra natura. Tanti presidi fatti di giovani, del nostro futuro coniugato al presente.
Circondiamoci di più giovani, sono essi la più bella linfa che alimenta il nostro impegno. Trasmettiamogli, se ce ne fosse bisogno, l'amore per la giustizia e la verità. Essi non hanno bisogno di adulti privi di difetti, hanno invece del giusto esempio di chi vuole muoversi mosso dalla passione e dall'amore. Stabiliamo con essi, e con tutta la comunità distratta che ci sta a guardare seduta al balcone, patti di solidarietà. Meno convegni, cari amici, più gesti di strada. Facciamo strada “accanto” a loro e insieme a chi ha più bisogno, senza sgomitare, senza rincorrere gli echi della stampa. Non ci interessano le folle oceaniche, non siamo un eventificio.
Diciamolo che non diamo i patentini della legalità a nessuno. Diciamolo ai nostri amici che si arrogano il diritto di pontificare dall'alto dei propri convegni, o nelle segrete stanze delle loro discussioni. Ai nostri amici che non riescono a pensare a quel plurale, al noi, che è l'unica via per la liberazione di questa terra. A quelli che arricciano il naso, temendo di perdere visibilità, se a implementare un progetto, un'iniziativa, un momento di confronto è l'associazione o la realtà tal dei tali. A quelli che rincorrono le telecamere amicandosi giornalisti o meglio i servi dell'informazione niente affatto libera. A quelli che si incancreniscono sui numeri delle manifestazioni e delle iniziative. Sono sempre pochi i numeri per costoro. Sempre troppo pochi per chi ciecamente dimentica la trave che ha nell'occhio fissando l'attenzione sulla pagliuzza dell'occhio altrui.
Sono gli stessi che presentano la lista della spesa minacciando di sciogliere le riga, di non stare più con noi perché vivono in un contesto “particolare”, sempre più particolare. E noi, come se fossimo un sindacato, dobbiamo solo fornirgli garanzie. Non ci sono territori particolari, la cronaca ce lo insegna. Non c'è una provincia più disgraziata dell'altra, un comune più stuprato dell'altro. Diciamocelo fuori dai denti. Il problema mafioso e della corruzione è un virus che ha infettato tutta la nostra nazione. E che, purtroppo, è andato anche oltre.
E nel frattempo, in questo meccanismo artatamente costruito a distruggere la speranza, i giovani e le forze più fresche imparano a dubitare di tutti, a lamentarsi e basta.
Ma chi fa Libera non la pensa così. I nostri coordinamenti, i nostri presidi, chi ci rappresenta nei territori non agisce in questa maniera. Chi fa Libera, chi è Libera ama il fare piuttosto che l'apparire. Io l'ho visto questo popolo che sa infangarsi i piedi e che suda ogni giorno di fatica. L'ho visto in questo anno di attività in lungo e largo per la Sicilia. L'ho incontrato questo popolo ed ogni volta ho imparato a riscoprire il senso di appartenere ad una comunità alternativa a quella mafiosa. Abbiamo insieme attraversato i mille volti di questa bella e tragica Sicilia con il sole cocente e la pioggia battente. Abbiamo insieme scorto gli occhi commossi di quei familiari a cui quei maledetti mafiosi hanno strappato padri, figli e fratelli che sono anche i nostri familiari. Abbiamo scorso il rabbioso coraggio di tanti giovani che hanno voluto fortemente presidiare, e quindi difendere, la nostra terra per mai abbandonarla a facinorosi e delinquenti. Abbiamo fatto nostri i tanti nomi, le mille storie, le nuove e le vecchie battaglie. Abbiamo imparato la prudenza, la passione politica e l'umanità da un mangiafuoco venuto dal nord, il nostro amico Davide Mattiello a cui va tutto il nostro ringraziamento per averci accompagnato. Abbiamo fatto Libera insieme. Ma non è abbastanza.
La stiamo ancora costruendo questa nostra «Libera». Chilometro dopo chilometro, fatica dopo fatica. Per la strada.
Fonte: www.liberapalermo.org
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