mercoledì, ottobre 20, 2010

L'angolo della lettura. "Avamposto. Nella Calabria dei giornalisti infami" di R. Mani e R. Rossi.

In questo post presentiamo la recensione di un libro molto interessante, che racconta la dura vita dei giornalisti calabresi che si occupano di mafia in tutte le sue sfaccettature e ombre; sono quei giornalisti che, oltre alle difficoltà quotidiane legate al proprio lavoro e alle "normali" vicissitudini di chiunque, devono fare i conti con le continue minacce da parte della 'ndrangheta.

I due autori, attraverso un'inchiesta condotta anche per conto dell'Osservatorio "Ossigeno per l'informazione", raccontano le esperienze di minacce quotidiane dei loro colleghi calabresi, colpevoli di scrivere di fatti, persone e situazioni di cui sarebbe meglio non parlare. Almeno secondo la 'ndrangheta e compari.
La cosa confortante è che questi giornalisti non si fermano, continuano a raccontare le malefatte della criminalità organizzata, della politica corrotta, dell'imprenditoria collusa e di pezzi di magistratura compiacente; far conoscere le loro storie è un piccolo segno della nostra gratitudine e della nostra vicinanza.



di Mimmo GANGEMI

Il taglio del racconto è secco, incisivo, colorato da sapienti pennellate. Incide nell'animo. Fa riflettere. Lungo le pagine si ricava l'impressione di una terra benedetta da Dio ma dannata dall'uomo. Ed è sorprendente come due giornalisti che vivono e operano a Milano siano riusciti a penetrare la spessa nebbia, quasi involucro solido da dover tagliare a fette, che in Calabria avvolge tutto e tutti e dentro cui sembrava riuscisse a muoversi solo chi ne respira l'aria.

A fornire lo spunto, la vita in trincea dei cronisti di nera, le vessazioni, intimidazioni e violenze che subiscono. Ne viene fuori un efficace e agghiacciante dossier/reportage che collima intrighi e situazioni, macchiati di sangue, tra 'ndrangheta, politica e affari. Ed è sorprendente come due giornalisti che vivono e operano a Milano siano riusciti a penetrare la spessa nebbia, quasi involucro solido da dover tagliare a fette, che in Calabria avvolge tutto e tutti e dentro cui sembrava riuscisse a muoversi solo chi ne respira l'aria.
Scandagliano l'intera regione. Emergono Gioia Tauro e i traffici del porto, con la mazzetta sui container, la scalata alla All Services, la faida che scaturisce. Emergono le guerre di Reggio con le centinaia di morti, quella per il controllo di Isola Capo Rizzuto, e di Papanice sui cui muri scritte inneggiano al capobastone che soccorrerebbe la miseria. Emergono i misfatti di Crotone, del Vibonese, del Lametino con i suoi giovani desaparecidos. È cronaca di guerra. È un mondo dove è il dio denaro che detta azioni, alleanze, condanne, che arma la lupara. Emergono Rosarno e i suoi giorni infuocati dalla rabbia di due miserie diverse. Emergono le collusioni istituzionali, con ombre persino sulla magistratura e su un componente della Commissione Antimafia. Emergono gli intrallazzi sul denaro pubblico, i politici al servizio in cambio di voti e assoldati per porre fine al 41 bis, i delitti di delinquenti premiati con l'indultino, i lunghi decenni d'inefficienza dello Stato, con i coraggiosi di denuncia che si sono presto trovati di fronte al ghigno libero e beffardo dei propri aguzzini. Emerge l'attuale strategia della tensione verso magistrati finalmente attivi nelle condanne e nei sequestri dei beni. E sempre il rosso del sangue e sempre i soldi e sempre la politica e sempre gli affari sporchi e sempre quell'area grigia, con lo Stato deviato, la borghesia malata, la massoneria prezzemolo di ogni minestra. E sempre la paura e il silenzio.
Si delinea netto il passaggio tra onorata società a 'ndrangheta becera e brutale assassina: ha una data precisa la drammatica metamorfosi, quel 20 gennaio1975 in cui fu ucciso Zzi' Ntoni Macrì di Siderno, uno dei tre grandi capobastone, che si opponeva ai sequestri di persona, alla droga, ai soldi quindi - al funerale centinaia di suoi fedeli sbatterono con rabbia le coppole sulla bara a promettere tremenda vendetta da venire.
“Avamposto” addita i 'ndranghetisti, ne annota i nomi, i misfatti. Annota che si riempiono la bocca d'onore e di rispetto e tacciano infami i giornalisti coraggiosi, li minacciano, li attenzionano di attentati, di violenze. Induce il lettore a chiedersi dove sia l'onore in tutto questo, come possa esserci onore nelle nefandezze con cui lordano la vita di ogni giorno. Con l'omertà che è diventata null'altro che paura.
Il taglio del racconto è secco, incisivo, colorato da sapienti pennellate. Incide nell'animo. Fa riflettere. Lungo le pagine si ricava l'impressione di una terra benedetta da Dio ma dannata dall'uomo. È però necessario un distinguo: in “Avamposto” il punto di vista è volutamente collimato sul marciume e su alcuni coraggiosi che pagano il prezzo di esservisi opposti, già con il solo scriverlo. Attorno, vittima o taciuta, c'è la gente onesta, in stragrande maggioranza, al massimo colpevole di silenzio e che, di fronte alle istituzioni colluse, tentenna e non si fida. Attenzione pure a non criminalizzare a ogni costo, si corre il rischio di essere noi a lasciare il solo sbocco 'ndrangheta alle nuove generazioni che provengono da quel mondo. Mi risuona ancora in testa l'eco delle parole di una mamma di Platì, di “razza nobile” e che vive con la famiglia a Buccinasco: in una recente trasmissione televisiva si doleva che, dopo certi servizi, nessuno accettasse più di giocare con i suoi bimbi, perché infetti di 'ndrangheta. I bimbi sono bimbi, loro nascono innocenti.


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