Che
la questione sul voto di scambio è questione antica lo dimostra il diritto
romano. È il 181 a.C. quando il console Marco Bebio Tamfilo istituì la “Lex
Baebia de Ambitu” prima legge che rendeva illecita la corruzione politica e in
particolar modo il tentativo di un candidato di influenzare il risultato di
un'elezione attraverso corruzione o altre forme non corrette di propaganda.
Circa 120 anni dopo, nel 61 a.C, il tribuno della plebe Marco Aufidio Lurcone fece
promulgare la Lex Aufidia de Ambitu:
questa legge regolamentava le donazioni alla plebe, dei candidati obbligando il
candidato che avesse promesso e pagato del denaro in cambio di voti e che
avesse effettuato il pagamento a versare a vita 3000 sesterzi l'anno di multa,
mentre esonerava dal pagamento quei candidati che non avessero pagato malgrado
le promesse.
Discussione attuale è la riforma del voto di scambio
politico-mafioso attualmente ferma in Commissione Giustizia in Senato. Dopo le
prime indiscrezioni i primi commenti non sono stati proprio positivi: si va da
chi la definisce una riforma da gattopardo a chi la definisce un favore alle
mafie. “Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di
voti con le modalità previste dal terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di
altra utilità è punito con la reclusione da 4 a 10 anni. La stessa pena si
applica a chi procaccia voti con le modalità indicate dal primo comma”.
Teoricamente quindi buoni spesa, benzina, bollette pagate e più chi ne ha ne
metta fanno parte nell'espressione
“altre utilità”.
Ma bisogna riflettere su alcune parole. La prima è
“consapevolmente” cioè non secondo la scajoliana usanza del “a mia insaputa” ma
deve essere dimostrata la consapevolezza del compratore. La parola
“procacciare” sostituisce l’originaria “promessa” che rendeva assai meglio il
momento iniziale dello scambio e il riferimento alle modalità del 416-bis
comporta un’azione violenta che potrebbe non
esserci. Toccherà aspettare nuovi ritocchi o almeno si spera.
Ma il punto sul voto di scambio è: il voto di scambio è
solo una questione politica o implica anche
una questione morale? E se quei voti che si presuppone siano stati
comprati fossero determinanti nell'elezione di un sindaco? Senza girarci
intorno il riferimento è: l'attuale sindaco di Alcamo è davvero il sindaco che
gli elettori hanno votato? Alle scorse amministrative alcamesi la distanza tra
il candidato vincente e quello perdente è stata di circa 40 voti e dalle
indagini della magistratura sembrerebbe che vi siano dei voti acquistati, poi
risultati determinanti nel risultato del ballottaggio.
È una questione morale prima che politica. Politica perché
condiziona il risultato delle elezioni, falsando il risultato se il voto fosse
stato totalmente libero, facendo eleggere amministratori che non erano nelle
intenzioni dei votanti. Ma morale perché lede la dignità dei venditori di voti
che per bisogno, a causa della loro situazione economica, decidono di non
esercitare il proprio diritto in modo personale, eguale, segreto e soprattutto
libero come indicato nell'articolo 48 della Costituzione. Ma ancora più
immorali sono i compratori di voti, sapendo che un aiutino in termini di voti
non fa mai male, bussano alla porta e promettono denaro o altro. Anzi ormai non
si promette più ma si procaccia.
Michele Romeo
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