sabato, gennaio 17, 2009

Omicidi eccellenti


Sabato 17 gennaio 2009 si è tenuto l’incontro: “la mafia raccontata dai figli a trent’anni da alcuni omicidi eccellenti”, presso l’aula magna del liceo Classico “F. Vivona” di Castellammare del Golfo.
All’evento hanno partecipato: Vincenza Caleca, dirigente scolastico dell’istituto “P. Mattarella”; I familiari dell’associazione A.I.F.A.M.; Michele Costa, figlio di Gaetano Costa; Lucia Ievolella, figlia di Vito Ievolella; Carmine Mancuso, figlio di Lenin Mancuso. L’intero incontro è stato cordinato da Pippo di Vita.
L’incontro si è aperto con l’esibizione al pianoforte di alcuni ragazzi frequentanti il liceo, con l’intento di sottolineare che la Sicilia è una terra che ama e sostiene l’arte e ogni altra iniziativa.
Il primo a raccontare la sua storia è stato il sig. Michele Costa, figlio di Gaetano Costa. Brevemente cerca di raccontare la vita del padre e delle azioni che lo portarono alla morte. Gaetano Costa da giovane fece parte di un partito comunista clandestino, e combatteva al fianco dei partigiani. Nel ’68, trasferitosi a Palermo con il compito di risistemare le profonde ammaccature della pubblica amministrazione, trovò un ambiente ostile ed andrà avanti da solo.
In questo periodo conobbe Cesare Terranova, anche lui di sinistra, entrambi mantenevano le stesse ideologie.
Accesero una rivoluzione: un susseguirsi di processi, che videro come protagonisti uomini politici e di potere, come il giudice Difeso, assessori e parecchie cosche; vennero tutti arrestati, ma nessun istituto ebbe il coraggio di dare la convalida, soltanto Costa accettò.
Nel frattempo viene ucciso Mattarella. Si apre uno squarcio nella Mafia, inizia un indagine appoggiata da Pascucci che venne continuamente sostituito. Le indagini si bloccarono, ma la criminalità venne lo stesso intaccata.
Per queste ragioni il procuratore Michele Costa viene ucciso, dice il figlio, come un animale il 6 agosto 1980.
Con un velo di dolore ammette che la sua generazione ha perso la guerra, che la mafia oggi è più forte perché non si conoscono le referenze. Ritiene che la Mafia è ‘ trageriatura’, trasforma la realtà, sconvolge la società, che egli divide in due parti: chi deve avere il coraggio di affrontare i problemi e il pericolo e chi ha il diritto di avere paura, ma sottolinea che anche quest’ultimi devono fare la loro parte, perché la mafia incide sui diritti di tutti.
La parola passa a Carmine Mancuso, figlio di Lenin Mancuso.
Inizia subito dicendo che la Sicilia è una terra smemorata, si rifà al filosofo Morghes, il quale afferma che non si ha coscienza del presente senza memoria.
Ritiene gli anni ’80, gli anni del delitto non perfetto e grazie a questa precisazione si capisce il perché l’incontro abbia questo titolo. Prima di allora la mafia non aveva mai toccato le istituzioni, aveva contatti direttamente a Roma, evidentemente qualcosa nel meccanismo si era inceppato. Parla di Boris Giuliano, che viene ucciso in pieno giorno mentre si recava a lavoro, nel luglio del ’79, da Bagarella che gli sparò da lontano sotto ordine dei corleonesi. Ma loro erano soltanto degli esecutori, non si riesce a scoprire chi fossero i veri mandanti, che difendevano Michele Sindona, un ricco banchiere scappato fingendo un rapimento.
Seguì l’uccisione di due magistrati con l’intenzione di bloccare le indagini.
Era sera mentre Terranova e Mancuso erano in macchina, li uccidono a fuoco aperto, Mancuso con l’intento di difendere l’amico muore in agonia, era il 25 settembre del 1979.
È cosi che funziona la mafia: ne ammazzano uno per colpire tutti gli altri.
Carmine Mancuso pieno di entusiasmo dice che dovremmo prendere il posto di Garibaldi, fare qualcosa per riscattare la nostra terra.
Tristemente pronuncia una conosciuta frase di Martin Luter King: “ non ho paura del violento, ma del silenzio degli onesti”.
Su questa frase fa una riflessione anche Lucia Ievolella, figlia di Vito Ievolella, dice che il silenzio degli onesti è peggio della mano armata dei disonesti, ma non perde la speranza anche se suo padre morì puntando proprio su quella società che permette che certe cose accadano.
Il padre dirigeva il reparto a tutela del patrimonio, e indagò su Masino Spataro, che dirigeva il contrabbando di sigarette e stupefacenti. Fu proprio questa indagine: Savoka più 44, che lo portò alla morte.
Si ritrovò solo ed isolato. Il 10 settembre 1981 nella piazza principale di Camporeale, disarmato e privo di scorta, dopo un periodo di convalescenza, con la moglie accanto venne ucciso, mentre attendevano la figlia che usciva dall’autoscuola.
Con questo intervento si conclude una parte della conferenza, quella che dedicata alle vittime che conoscevano i rischi a cui andavano incontro, quelli che avevano scelto la loro strada e la seguirono fino in fondo. Ci sono delle costanti in comune in tutte le storie: i cari delle vittime hanno ereditato la forza, la volontà di educare e combattere dei loro parenti- vittime. Dispiaciuti che la maggior parte delle persone non collaborino e pensano solo alla tranquillità delle loro pareti domestiche, ma hanno avuto la forza di capire qual'è il segreto, cioè non fermarsi mai, non arrendersi.
Si apre un altro capitolo, quello che riguarda le vite innocenti distrutte dalla mafia, morti non per scelta, ma perché come abbiamo detto prima la mafia tocca tutti, è un pericolo per tutti, sia per quelli che scelgono di combatterla, sia per il resto della società.
È la volta di Margherita Asta, che perse alla sola età di 10 anni la mamma e i due fratellini, con la sola colpa di essere andati a scuola come facevano ogni mattina. Amaramente racconta che lei si salvò soltanto perchè quella mattina aveva chiesto un passaggio alla sua vicina, salutò frettolosamente la madre sicura di rivederli tutti all’uscita dalla scuola, ignara di tutto.
Sulla strada di Pizzolungo era stata posta un'autobomba con l’intento di fare saltare l’auto del giudice Carlo Palermo, ma proprio in quel preciso istante la macchina del giudice e quella dei familiari di Margherita Asta erano perfettamente allineate, la macchina della signora Asta fece da scudo. Non rimase nulla se non dei brandelli dei corpi delle vittime.
E duramente Margherita dice che bisogna ricordare per giustificare rabbia e impegno.
Rivolgendosi a noi evidenzia che almeno abbiamo la possibilità di scegliere al contrario dei suoi cari, e spera che sceglieremo la strada giusta.
Ricorda che un passo avanti è stato fatto: si sta iniziando a parlare di mafia in luoghi dove prima se ne negava l’esistenza.
Dopo le domande che gli alunni hanno posto ai protagonisti dell’incontro, essi concludono dicendo di aver vissuto in un mondo d’illusione, dove non tutto era chiaro, ma che oggi noi giovani abbiamo davanti la certezza che bisogna lottare;la piaga peggiore è la disinformazione, l’unica soluzione è “prendere la pillola dell’essere attivo” e cercare di creare uno stato libero dal cancro della mafia.

Il mio non è un articolo, perché non mi ritengo al livello dei giornalisti, ho semplicemente riportato parole, testimonianze che potrebbero smuovere la coscienza di tutti, farci comprendere e renderci partecipi di una lotta della quale finora ne abbiamo soltanto sentito parlare ma che non ci riguarda in prima persona. È sbagliato pensare che sia così, la tragedia di Pizzolungo potrebbe essere riportata alla vita di chiunque altro.
Questo mi fa venire in mente un documentario che ho visto qualche giorno fa dove il verme mangiava una ad una le formiche. Inizialmente le formiche scappavano, ognuna pensava a salvarsi, dopo qualche ora migliaia di formiche assalirono il verme. Nessuna ebbe più paura, erano troppe, il verme si diede alla fuga e non fece più visita a quel formicaio. Ovviamente noi non siamo formiche e la mafia non è paragonabile al verme, ma è pur vero che siamo tanti, anzichè stare in silenzio potremmo semplicemente unirci.
Valentina Badalamenti

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti alla preside per tutte le inizative che sta prponendo. Un gran bel lavoro

Nicola Prosa ha detto...

Mi piace molto l'immagine del verme e delle formiche, ma purtroppo non tutte le formiche capiscono cosa è la mafia...avete mai parlato con qualcuno che abbia + di 35 anni di livello culturale medio basso?(con le dovute eccezioni)la maggior parte pensa che quando c'era la mafia "quella vera" si viveva meglio; come fai a lottare quando da questo lato della barricata c'è gente che pensa questo? Spero che la cultura possa aiutare, ma se non si capisce che è un problema di mentalità non andremo da nessuna parte.

Castello Libero ha detto...

Sono perfettamente d'accordo con Nicola tranne che per la visione pessimistica. I tempi cambiano e la gente che oggi ha vent'anni domani ne avrà 35; questo significa che se a cambiare modo di vedere il fenomeno mafioso sono i ragazzi di oggi ( come penso che a poco a poco stia succedendo) allora gli adulti di domani si approcceranno diversamente a questa tematica.
Penso sia un processo automatico...

Nicola Prosa ha detto...

Spero che la tua visione ottimistica si possa avverare, ma guarda che non tutti i giovani che lottano la mafia sono contro la mafia...