sabato, luglio 28, 2012

DIARIO DI UN'AVVENTURA MALGASCIA

PARTE SETTIMA:
Se non ho descritto la città, l’unico motivo è la consapevolezza di non poter fornire nulla di preciso, neanche se fossi lo scrittore più bravo della storia, neanche in quel caso riuscirei a proiettare nella vostra mente questi luoghi per come essi sono veramente. Tuttavia credo in fondo di dover tentare, giusto per darvi un’idea.

 La nostra casa non si trova nel centro città; il nostro quartiere, Amboaloboka, è infatti in periferia, caratterizzato da tante villette costruite in perfetto stile malgascio; uno stile che non saprei descrivere con esattezza, posso solo dire che per le mura di una casa vengono utilizzati dei mattoni rossi che puoi trovare ammucchiati un po’ qua un po’ là ai bordi delle strade più campagnole. 
Casa nostra domina una collina, perciò dalla veranda al primo piano possiamo godere di una piacevole vista sulla città, notare che essa è circondata e protetta da basse montagne tutt’intorno, in lontananza spiccano la pista di atterraggio e l’università, le costruzioni più imponenti sono scuole, prevalentemente dirette da confraternite di suore e in generale associazioni religiose, perché bisogna sottolineare il fatto che qui in Madagascar, come d'altronde per il resto dei paesi africani e del terzo mondo, la religione gioca un ruolo molto importante, e ciò sia nel bene che nel male. Perché v’è quell’organizzazione impegnata seriamente nel sociale, col reale intento di voler aiutare e v’è quell’altra organizzazione che, mascherata da opera pia, persegue i propri interessi e non solo per un dovere di evangelizzazione del contadino ignorante. Alla fine è l’uomo, individuo, che attraverso il suo operato quotidiano, che sia prete o impiegato di banca, soldato o artigiano, deve dimostrare da che parte sta. È una questione di priorità. La religione comunque risulta essenziale per la maggior parte dei malgasci, la loro fede è grande, la speranza è un sentimento fortemente radicato in essi. 

Dopo questa poco chiara digressione filosofica necessaria, ritorno alla descrizione paesaggistica: man mano che ci si avvicina al centro cittadino, attraversati i campi di riso che occupano ogni spazio libero da costruzioni a scopo abitativo, le case semplici si moltiplicano e così le persone che camminano per strada, ognuna intenta nello svolgimento dei propri affari quotidiani, c’è chi spinge un carretto, chi trasporta generi alimentari sulle spalle o in testa, i ragazzi ciascuno col suo grembiule solitamente sull’azzurro in marcia verso o di ritorno da scuola, e le botteghe cadenti o decadenti sparse in ogni angolo che offrono varie fritture dolci o salate, biscotti, bevande (Coca Cola, Dynamic), sigarette, ricariche (Orange e Telma soprattutto) e altri generi alimentari. 
Lungo le strade principali i “bus di linea” passano in continuazione da mattino a sera, stracolmi di gente, si tratta di piccoli furgoncini che arrivano a contenere fino a una trentina di persone o più; spesso e volentieri li vedi arrancare semi-scassati lungo la via con i passeggeri schiacciati l’uno contro l’altro, tranquilli come se niente fosse. Io prendo spesso il bus costa poco (300 ariary, ovvero meno di 10 centesimi) e ti porta dove vuoi fermandosi alle varie fermate; una volta sono stato costretto a sedermi sul finestrino col busto all’esterno della vettura pronto a schivare cartelloni e segnali stradali, un’altra volta mi sono ritrovato tra il controllore che mi tossiva addosso, una bambina piccola che piangeva in braccio alla sua mamma e altri passeggeri mi circondavano silenziosi mentre ogni tanto mi gettavano sguardi incuriositi bisbigliando qualcosa tra loro del tipo: “Chissà come si sente il vasaha intrappolato qui dentro, in piedi, con la testa piegata verso il basso perché il tettuccio è troppo basso”. Non proprio un toccasana per una persona che soffrisse di claustrofobia.

Le strade sono piene di buche e sono sporche ai bordi, ma niente di diverso da molti marciapiedi palermitani; non ci sono i cassonetti dell’immondizia come da noi ma piuttosto vi sono dei punti dove accumulare i rifiuti che per la maggior parte sono biodegradabili, le bottiglie di plastica per esempio non si buttano, tutto ciò che può essere riutilizzato si riutilizza. V’è una grande quantità di storpi e mendicanti che vedi aggirarsi ed elemosinare in giro e anche lì a rovistare tra i rifiuti insieme ai pulcini al seguito di strane galline spennacchiate tipiche di questi luoghi. Essi rappresentano l’ultima ruota di quel carro chiamato “Povertà”. 

La vita è dura qui in Madagascar per la maggior parte, questo era scontato, ma è duro anche capacitarsene ogni giorno e affrontare la realtà ogni giorno. È dura e nessuno vuole pensarci troppo.

Luca Pennisi

1 commento:

Unknown ha detto...

emozionante come sempre!