Da ormai tre settimane è cominciata l’avventura del nostro amico Luca Pennisi in Madagascar, è partito per affrontare un’esperienza unica, 10 mesi di servizio civile internazionale in un Paese dove ogni cosa è diversa rispetto a ciò che siamo abituati a vedere dalle nostre parti, ma questo sarà lui a raccontarcelo, infatti prima di partire gli ho chiesto di inviarci periodicamente un resoconto delle sue avventure, una sorta di diario di viaggio… ed ecco le sue prime impressioni all’arrivo nel continente africano:
Adesso, tanto vale partire dall'inizio..................Un lungo viaggio, da Palermo a Roma, da Roma a Parigi, fin qui niente di eccezionale, il classico viaggio Alitalia con l’aggiunta di un pizzico di frenesia dovuta alla conoscenza della meta finale, dovuta al fatto che un viaggio è sempre un viaggio, è una novità, e poi l’aria dell’aeroporto mi mette sempre di buonumore. In più, la conoscenza dell’equipe, il confronto, lo scambio e il rendersi conto che si è tutti elettrizzati dall’avventura in cui ci stiamo immergendo. Paris ci accoglie con un vento freddo, non proprio un toccasana per il mio raffreddore. Viene spontaneo approfittare del momento per girare il centro città, in attesa di ritornare l’indomani in aeroporto. Un saluto veloce a Notre Dame, Tour Eiffel, Arc de Triomphe e Louvre.
Prendiamo le valigie e via…di nuovo verso l’aeroporto, ma stavolta la rotta è un’altra: Madagascar. È la prima volta che viaggio a bordo di un aereo così grosso, per la prima volta mi ritrovo a passeggiare all’interno di un aereo. Sono state 10 ore di volo e sono letteralmente volate via in un batter d’occhio. Antananarivo (per gli amici Tanà) ci accoglie con un aria calda e umida, più calda che umida. Recuperate le valigie e scambiati i primi 100 euro (280.000 ariary), un nugolo di premurosi facchini ci da il benvenuto e ci conduce quasi fosse una scorta fino al pulmino e da lì ad un nuovo hotel per un nuovo pernottamento. È tutto troppo surreale per trovare la forza di andarsene a letto, così ci raduniamo fuori nel simpatico ingresso e ci godiamo qualche birra seduti su sedie di plastica. L’aria si è rinfrescata ed è proprio un piacere starsene lì. Riesco persino ad adoperarmi non male col mio francese e il mio neonato malgascio. In tarda nottata ripieghiamo nelle nostre camere e dopo una doccia calda e confortevole mi corico per qualche oretta. A colazione: pane e marmellata, poi c’è da scegliere tra tè e caffè; io prendo il caffè e, ben sapendo che si tratta di caffè americano, chiedo se è possibile avere un po’ di ronono (latte) così da renderlo bevibile. Purtroppo il cameriere mi porta qualcosa simile a formaggio fuso…avrei dovuto prendere il tè. Appena finito vado in camera a prendere i bagagli perché fuori è arrivato il taxi brousse che ci condurrà fino a Fianarantsoa; Sasà è il ragazzo malgascio che si occupa di stipare le nostre valigie sopra la vettura, le copre con un telo impermeabile e infine le assicura con delle corde all’autovettura. Tutto è pronto, si parte! Appena fuori dal cancello incrociamo circa cinque camionette stracolme di militari; stanno andando all’aeroporto per prepararsi a ricevere l’ex presidente del Madagascar che arriverà quel pomeriggio. A giudicare dall’artiglieria e dall’ingente numero di soldati, la gente non ha ancora esaurito la rabbia nei suoi confronti dopo la rivolta del 2009. Per strada i miei occhi come quelli di tutti gli altri vengono catturati dal posto. È Africa, non si può descrivere e se ci provi non rende l’idea. L’Africa va vissuta. La città ci da il suo benvenuto: sui muri che costeggiano la strada maestra uno sconosciuto artista ha scritto a intervalli regolari: “Tonga soa”. Il nostro autista è un tipo taciturno, l’ho visto parlare solo con i poliziotti che ogni tanto ci fermavano per un controllo, o meglio, per qualche soldo. Non si è presentato, era Sasà a mantenere i contatti con la clientela, ma presto gli abbiamo appioppato un soprannome molto appropriato, approvato all’unanimità: Nicky Lauda. Non avrei voluto staccare lo sguardo da quel mondo che scorreva fuori dal finestrino, avevo dormito poco ma pur di vedere il paesaggio sarei resistito, tuttavia, non appena le curve e gli sballottamenti sono divenuti più frequenti, sono stato costretto a volgere lo sguardo verso il cielo e chiudere gli occhi per combattere il mal d’auto. Stretti come sardine in scatola, abbiamo percorso altre 10 ore di viaggio per giungere finalmente a destinazione, doloranti ma contenti. To be continued...
Luca Pennisi
(di Mauro Navarra)
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