mercoledì, maggio 18, 2011

Comunicato Stampa di Libera Trapani e approfondimento su Libera Informazione sull'Operazione Salus Iniqua

Comunicato Stampa Salus Iniqua



Tratto da www.liberainformazione.org


Salus Iniqua: ecco il volto della nuova mafia
La borghesia mafiosa, i contatti pericolosi e gli affari dell'ex onorevole Giammarinaro
di Rino Giacalone


È il primo colpo messo a segno. Da meno di sei mesi siede sulla poltrona di capo della Divisione anticrimine della Questura di Trapani dopo essere stato a lungo capo della Squadra Mobile. Giuseppe Linares, promosso primo dirigente ha dovuto lasciare l'ufficio investigativo passando ad un altro genere di indagini, quelle che forse oggi più di ieri servono per colpire la criminalità organizzata e mafiosa, i complici di Cosa nostra, usando l'arma delle misure di prevenzione. Quei provvedimenti che danno origine ai sequestri e poi alle confische. La Divisione anticrimine tra gennaio e marzo scorso ha messo a punto la misura di prevenzione che ha portato il Tribunale di Trapani ad applicare per la prima volta, da quando è entrato in vigore il pacchetto sicurezza del Viminale, un sequestro preventivo, riconoscendo la pericolosità sociale del soggetto che controllava il relativo patrimonio: 35 milioni di beni, nella maggior parte dei casi quote sociali di centri di assistenza sanitaria. Destinatario l'on. Pino Giammarinaro, proposto per 5 anni di sorveglianza speciale, ed i suoi prestanome finiti indagati per riciclaggio.

La borghesia mafiosa

In conferenza stampa il dott. Linares è stato «lapidario»: «Gli elementi raccolti contribuiscono non poco a qualificare la condotta del Giammarinaro, anche alla luce di numerosi pronunciamenti giurisprudenziali, sintomatica di una contiguità consapevole e costante agli interessi della associazione mafiosa, di una mentalità improntata esclusivamente a stilemi tipici della consorteria mafiosa trapanese». «Dalla disamina dei vari episodi di cui si è reso protagonista, il Giammarinaro - hanno sostenuto gli investigatori - risulta la prototipica espressione di quella “borghesia mafiosa” che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità mutualistica all'associazione mafiosa “Cosa nostra”, figura che le più recenti sentenze penali riguardanti le indagini sui mandamenti mafiosi della Provincia di Trapani hanno visto imporsi in un vincolo di strumentale collusione e ciò a prescindere da una qualsivoglia formale adesione alla stessa (che oggi, peraltro, è risultata assai meno usuale di un tempo)». «Siamo dinanzi - ha proseguito Linares - dinanzi al metodo mafioso “sommerso” voluto dal latitante Matteo Messina Denaro». «Non è la mafia che mette l'attak - ha aggiunto il neo capo della Squadra Mobile Giovanni Leuci - ma una mafia che in questo modo controlla le imprese, le società, gli enti locali, dall'interno, è una mafia che crea benessere, posti di lavoro, raccoglie l'indispensabile consenso sociale». A fare i cosidetti «conti in tasca» all'on. Giammarinaro sono state le Fiamme Gialle : «Credo che l'entità del sequestro - ha detto il maggiore Matteo Amabile comandante del nucleo della Guardia di Finanza di Trapani - è determianta in 35 milioni non certo per eccesso ma per difetto. Abbiamo riscontrato una situazione incredibile con familiari, parenti, clientele di vario genere garantite con le assunzioni». Il capo della Mobile Leuci ha illustrato invece l'indagine della Procura di Trapani per la quale sono stati notificati sette avvisi di conclusione delle indagini (ipotesi intestazione fittizia di beni, falso nel rilascio di ceritifcati medici, favoreggiamento nell'elargizione di contributi pubblici) .

Mi presento, mi chiamano “Pino Manicomio”

A Salemi all'on. Pino Giammarinaro alcuni lo conoscono, e lo appellano, così sono stati sentiti dire dagli investigatori che stavano «ascoltando» alcune utenze telefoniche, come «Pino manicomio». Uno che lo chiamava in questa maniera era l'attuale addetto stampa del sindaco Sgarbi, il giornalista Nino Ippolito. Il «tentativo di condizionamento» del Comune di Salemi, è uno dei capitoli dell'indagine. Il sindaco Sgarbi non è assolutamente indagato, esce dall'inchiesta quasi come una «vittima» ma «consapevole», o almeno al contrario del suo ex assessore Oliviero Toscani, il fotografo famoso nel mondo, non è mai andato in procura a denunciare «pressioni» dell'ex deputato, che anzi lui ieri ha scelto ancora di difendere. La vicenda di «Pino manicomio» esce però in un contesto in cui Ippolito parlando con l'assessore Bivona informa questa che Giammarinaro stava andando in aeroporto a prelevare Sgarbi per fargli firmare una delibera con la quale designava l'assessore Calistro (cognato di Giammarinaro) rappresentante del Comune all'interno dell'Unione dei Comune belicini che si apprestava a sfruttare un finanziamento per i 150 anni dell'unità d'Italia. C'è poi l'aspetto rilevante del «condizionamento» esercitato secondo inquirenti e investigatori di Polizia e Finanza, all'interno della sanità pubblica, che da quando Giammarinaro fu nominato negli anni '80 presidente dell'allora Usl 4 di Mazara, era diventata la sua fonte principale di attività, costruendo un vero e proprio potere rimasto non intaccato nonostante una precedente misura di prevenzione, una sorveglianza speciale per 4 anni che da poco l'ex deputato ha finito di scontare. Una carriera quella di Giammarinaro interrotta dalle grane giudiziarie. Dall'Usl 4 nel 1991 aveva fatto il salto a Sala d'Ercole, eletto deputato regionale della Dc con 50 mila preferenze. Capo della componente andreottiana, era stato proprio il senatore a vita Giulio Andreotti ad affiancarlo in una affollata manifestazione al palazzetto dello sport. A metà anni '90 però le indagini, i pentiti lo indicano in combutta con la mafia, a Marsala la Procura indaga sulla malagestione dell'Usl. Esce assolto dal processo di mafia, ma condannato per peculato e concussione. E quindi sorvegliato speciale. Anche allora erano emerse «interferenze» nella politica e negli enti locali. Una pericolosità sociale che secondo i giudici invece che fermarsi è ancora di più cresciuta.

La "tassa" per diventare deputato. La storia dello zio Calò. C'è un «filo rosso» all'interno dell'indagine che ha portato al sequestro dei beni nei confronti dell'ex parlamentare regionale Pino Giammarinaro. Ed è il filo dei collegamenti politici. Da sorvegliato speciale oltre che violare le norme, continuando a gestire e ad accrescere con «metodologia mafiosa» il proprio patrimonio, ha continuato ad occuparsi di politica, e veniva trattato da pari a pari da esponenti politici regionali e nazionali che pur sapendolo un sorvegliato speciale non si traevano indietro dall'avere contatti e incontri con lui. I nomi citati nel provvedimento emesso dal Tribunale di Trapani sono diversi, quelli più importanti sono dell'attuale ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, all'epoca in cui però questi era il capo indiscusso dell'Udc siciliana, dell'allora Governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, e poi via via a scendere sino a livello locale. Nel capitolo della politica vi sono vicende oggetto di approfondite indagini. Come il retroscena dell'elezione a deputato dell'ex presidente dell'ordine dei medici Pio Lo Giudice. Questo fu convinto da Giammarinaro a candidarsi e fu alle ultime regionali l'unico parlamentare dell'Udc eletto (adesso è transitato con l'Api di Rutelli). Già durante la campagna elettorale qualcosa era suonato in modo strano, in particolare gli incontri elettorali ai quali Giammarinaro era sempre presente e che concludeva con una «novella»: raccontava, parlando con Lo Giudice, della storia di un politico potente agrigentino, "u zu Calò" che un giorno notificò al parlamentare che era eletto che non lo sarebbe stato più, dandogli pubblicamente dell'«ex» quando ancora era in carica. Il «messaggio» a Lo Giudice insomma arrivò forte e chiaro su quello che avrebbe dovuto fare e su come sarebbe finita se avesse girato a lui le spalle. Non contento a Lo Giudice a risultato ottenuto notificò una richiesta: il pagamento di 200 mila euro per spese elettorali sostenute. Lo Giudice protestò, si rivolse al segretario del partito Romano e da questi ebbe ad apprendere che a Giammarinaro direttamente erano stati consegnati 40 mila euro di rimborso elettorale che in realtà sarebbero spettati a lui. Lo Giudice sarebbe stato sottoposto a vere e proprie «pressioni psicologiche». Di soldi e politica ha parlato anche l'ex consigliere comunale di Marsala Enzo Laudicina: alle precedenti elezioni regionali 20 milioni di lire Giammarinaro li ebbe a chiedere all'allora deputato, appena eletto, sempre dell'Udc, Norino Fratello. Come se c'era una tassa non scritta da dovere pagare per il seggio in Parlamento. Quanto contasse Giammarinaro era ben noto anche a politici locali come Girolamo Turano, attuale presidente della Provincia. In una conversazione intercettata, Turano lamentava la capacità di Giammarinaro di pilotare, anche grazie a dirigenti compiacenti, le sorti di nomine, incarichi e concorsi indetti dalla A.S.L. di Trapani.

L'omicidio di un infermiere che faceva il manager delle dialisi. L'1 ottobre del 2002 fu trovato ucciso nella spiaggia di Capo Feto. Si chiamava Salvatore Capizzo. Aveva 44 anni, era originario di Salemi, da tempo abitava a Mazara, infermiere professionale. Ma quello che stupì gli investigatori fu la circostanza che nella sue tasche gli vennero rinvenuti agendine e appunti con annotazioni relative questioni sanitarie, numeri di telefono di dirigenti della sanità, dell'on. Pino Giammarinaro. Un infermiere dai tanti, forse troppi contatti. Un delitto irrisolto e però partendo da questo omicidio, risalendo via via la china di «rapporti pericolosi» la Squadra Mobile completò un rapporto investigativo finito alla Dda di Palermo e ora tornato alla competenza della Procura di Trapani. È da questa inchiesta che ha preso anche spunto la misura di prevenzione e il sequestro di beni, nonchè il filone di inchiesta «esploso» con la notifica di avvisi di conclusioni delle indagini e avvisi di garanzia. Cosa si è scoperto dietro il delitto Capizzo? La gestione «occulta» dell'on. Giammarinaro di alcune «Rsa». (residenze socio assistenziali) ricadenti, in particolare, a Mazara e Salemi, nonché un centro di emodialisi di Mazara, dove l'ex deputato risultava essere socio occulto proprio con Capizzo che all'epoca del delitto pensava ad aprire anche una attività sanitaria a Trapani. Capizzo era amministratore unico del «Centro Emodialisi Mazarese», ma i «contatti» tra Capizzo e Giammarinaro non sarebbero stati solo dentro il «Cem». Erano anche di altra natura. Capizzo infatti si sarebbe preso cura della latitanza dell'on. Giammarinaro quando questi era ricercato tra il 1995 e il 1996. Custodiva libretti al portatore, si sarebbe fatto prmotore di raccolte di denaro nei confronti del politico. Un politico potente Giammarinaro. Di lui hanno parlato alcuni pentiti di mafia come Salvatore Lanzalaco, Antonino Giuffrè e Mariano Concetto, lo hanno indicato come «snodo fondamentale delle dinamiche criminali della consorteria mafiosa dell'intera provincia di Trapani», quella capeggiata dal latitante Matteo Messina Denaro. Il boss, capo mafia di Castelvetrano, che si dice durante la sua latitanza si è potuto muovere guarda caso nascosto dentro delle «ambulanze»a e il delitto Capizzo sono le ombre che si stagliano sull'opwerazione «Salus iniqua». Il controllo della sanità pubblica. Oltre alla gestione di una rete di società attraverso «obbedienti prestanome», era proprio Giammarinaro a decidere gli avanzamenti di carriera e le nomine di primari. Aveva propri «fedelissimi» nei posti-chiave dell'azienda sanitaria provinciale, primo fra tutti Giuseppe «Pippo» Cangemi, per anni direttore sanitario della Asl. La scelta dei sanitari da promuovere era vincolata dall'appartenenza politica. E con questo criterio sarebbero stati scelti, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, due primari assegnati agli ospedali di Alcamo e di Salemi. I meriti professionali e i titoli non avevano alcuna rilevanza, i medici «scienziati» venivano fatti fuori in favore dei sanitari «scecchi» (frase contenuta in una intercettazione). In un incontro in cui veniva decisa la spartizione di posti dirigenziali nella sanità trapanese, il medico Vincenzo Borruso si rivolgeva a Giammarinaro (che, malgrado l'obbligo di soggiorno, continuava a muoversi con facilità) per chiedergli: «Ma insomma, quando mi fai diventare primario?». Proprio in quel momento era stato nominato il nuovo dirigente generale dell'Asl, Fulvio Manno. La prima preoccupazione di Borruso era stata quella di chiedere a Giammarinaro: «Questo direttore amico nostro è?». Girava voce infatti che Manno volesse «liquidare» Cangemi. Giammarinaro tranquillizzò subito il suo amico medico: «Ma chi racconta queste minchiate?». Dalle convenzioni con le strutture socio-assistenziali alle nomine, dagli incarichi per tecnici di laboratorio ai concorsi per medici e primari. Con un «sistema» che contava su un formidabile retroterra politico Giuseppe Giammarinaro aveva, in pratica, messo le mani sulla sanità in provincia di Trapani. «Per ora è lui che impera» diceva sconsolato al telefono l'ex deputato regionale dell'Udc Girolamo Turano, ora presidente della Provincia. Le intercettazioni offrono uno spaccato del «sistema» clientelare che aveva messo sotto controllo l'Asl 9 di Trapani.

1 commento:

Nino Maniaci ha detto...

Queste storie sono a conoscenza di tutti da almeno un trentennio. Ancora non ero nato e già sapevo chi era Pino.
Probabilmente qualche pezzo del "sistemone" s'è rotto ed è stato possibile mettere in chiaro la situazione.
Nulla da togliere alle forze dell'ordine e alla magistratura per il lavoro compiuto.
Ma, i siciliani con i paraocchi???