mercoledì, aprile 15, 2009

La cruda, vera e terribile storia di una sopravvissuta al terremoto

Ore 3:32 del mattino, 6 aprile 2009, la terra trema all’Aquila, terrore panico distruzione e inferno si appropiano dell’Abruzzo, terra d’arte, di studenti e brava gente. Attimi di panico che in 20 secondi sterminano le vite di intere famiglie.
Ordinaria follia della natura spiazza il paese che all’indomani diventerà terra di sfollati e morti, che all’alba piange già un’immane tragedia che toccherà il cuore dell’intero mondo, che unirà le anime di ogni angolo di terra per abbracciare quelle persone che, vuoi per una natura selvaggia o per altro, si troveranno a dovere sopravvivere ad una vita che li ha privati di tutto!
Le macerie si trasformano di ora in ora in luoghi di speranza, affinchè dall’interno escano degli angeli ancora vivi.crolla tutto un paese fantasma sbriciolato come un castello di sabbia, un edificio “la casa dello studente” ridotto allo stremo, sventrato, lì dove migliaia di studenti giorno per giorno rincorrevano il sogno di una vita!
Stefania vittima inconsapevolmente miracolata da tale tragedia piange, urla di rabbia, lei, belicina, del terremoto aveva soltanto un ricordo raccontato dai familiari, che lo subirono nel ‘68 quando la terra tremò e distrusse il nostro paese. Solo ricordi quindi, tramutati quella notte in una cruda realtà, lei che tre anni fa decise di partire dalla sua Sicila, da Castelvetrano, il suo piccolo mondo, volando all’Aquila dove iniziò la sua nuova vita, una vita che adesso porterà le stigmate di questa aventura terribile, che le ha tolto molto, tanto, troppo… Si sfoga così:
Abbiamo avvertito una scossa verso le 23, al contrario delle altre, che ci accompagnavano già da tre mesi, questa durò molto di più e a differenza delle prime, durò il tempo di vestirci e scappare mentre tutto ancora tremava lasciando però ogni cosa al suo posto. Ci ritrovammo tutti nel cortile dell’edificio, tutti, compreso coloro che io chiamo amici e che adesso non ci sono più. Si scherzava, si rideva, insieme alla paura che ormai faceva parte dei nostri giorni, si sdrammatizzava insomma; a lungo siamo rimasti fuori, ma il pericolo sembrava essere scampato appena la terra si fermò. Erano l’una della notte, eravamo in macchina questa volta non l’abbiamo sentita, ma ho realizzato che aveva ancora tremato per la molteplictà della gente che affollava le strade. Ormai tutto questo sembrava far parte della nostra vita quotidiana, perciò tornammo a casa rassicurati dalla gente che garantiva che le scosse, prima o poi, sarebbero scemate, per farci ritornare alla vita di sempre.
Non riuscivo a dormire, avevo un brutto presentimento e andai a letto vestita, fino alle 2:45 sentivo mio fratello, avevo paura, ma lui mi rassicurava perchè dopo due giorni sarei ritornata a casa. Mi addormantai… Alle 3:32, il soffitto per metà crollò nella mia stanza, le scrivanie erano a terra, le finestre sbarrate, ” devo scappare” pensavo… per le scale! La mia coinquilina urlava ed io con lei, sono riuscita ad aprire la porta, sotto il nulla… non c’erano più le scale, le camere dei miei amici, il corridoio; ma solo un grande buco di cinque piani. Le uniche camere rimaste: la mia e l’adiacente, solo perchè le uniche esterne, e il nostro piccolo bagno con l’unica finestra accessibile.
Abbiamo rotto la finestra, e ho iniziato a urlare, con tutta la mia forza, per farmi sentire dal mio ragazzo, sollecitando così l’unico soccorso che c’era e che tardava ad arrivare, mentre le scosse continuavano ogni cinque minuti. Più il tempo passava e più mi rendevo conto che quella sarebbe stata la mia ultima notte. Avevo il telefono in tasca e chiamai mamma, per l’ultimo saluto, lei immediatamente iniziò a sollecitare i soccorsi con telefonate incessanti, mentre papà e i miei fratelli erano già in viaggio.
Alle 4:50 finalmente ho visto la luce, luce che era di salvezza, i vigili erano arrivati, il braccio meccanico mi liberò insieme ad altre due mie amiche, lasciando sù l’ultimo ragazzo del mio piano, salvato subito dopo. Quando sono scesa la disperazione era tanta, cercavo tra la folla i miei amici, il mio ragazzo, i miei unici compagni di vita, rendendomi però sempre più conto, che molti erano sotto quelle macerie; soprattutto… il mio migliore amico.
Il teremoto mi ha tolto tutto, dalla materialità degli oggetti, ai miei amici, soprattutto “Michelone” un ragazzo palestinese conosciuto tre anni fa, un fratello per me, un compagno, un confidente, una famiglia in assenza della mia. Michelone è morto e con lui la mia felicità, questo non è un incubo, non mi sveglierò domani sentendo la sua risata, o vedendo a mensa la sua buffa camminata, mi rimane solo un bracciale, con sù scritto JESUSALEM non ho più nulla nè foto nè video su cui piangere, mi rimangono solo i ricordi ma da cui non riuscirò nè a toccarlo, abbracciarlo, se n’è andato per sempre e nessuno più mi ridarà la gioia di rivederlo.
Adesso sono a casa, adesso i miei cari possono baciarmi e piangere insieme a me per questo miracolo, sono spaventata, sono distrutta, amareggiata, ma sono viva e consapevole che i miei amici non li ha portati via il terremoto, ma la superficialità di un’Italia che per agire ha bisogno di queste tragedie. Sognare è meglio di vivere ma quando il sogno finisce, non ci resta altro che vivvere con la speranza di sognare ancora.”

Questa è la testimonianza di Stefania Cacioppo 22 anni, castelvetranese, studentessa di scienze dell’investigazione all’università dell’Aquila, residente nella casa dello studente, andata distrutta dal terremoto che colpì l’Abruzzo il 6 Aprile 2009, Stefania è miracolosamente sopravvissuta a questa strage, oggi noi attraverso le sue parole possiamo renderci conto di quanto accaduto, leggendo le parole di chi da quelle materie è riuscito a uscire e soprattutto non dimenticando tutti gli angeli che invece non ce l’hanno fatta.

Fonte castelvetrano-selinunte.it

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